Vangelo 11 giugno

Marco 12, 13-17
13 Mandarono da lui alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso.  14 Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».  15 Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo».  16 Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».  17 Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.


Ascoltiamo la Parola
Trovare il modo di contrapporre Gesù ai Romani era un buon stratagemma per ridurlo al silenzio. E se anche avesse preso le parti dei Romani inevitabilmente si sarebbe guadagnata l’antipatia della povera gente vessata dalla tassazione romana. Ecco perché il Vangelo di oggi è uno di quei brani dove più emerge l’originalità di Cristo. Cosa può fare Gesù davanti a una situazione simile? Quello che fa la verità: chiarire una volta per tutte che Dio non è schierato con un partito, ma è schierato con l’uomo. Ecco la genialità di Cristo: per quanto i Romani possano risultare fastidiosi, oppressori e ingiusti, non si deve a loro la parte più essenziale di noi. Ai Romani gli si possono dare i soldi ma non ciò che conta, la propria coscienza, la libertà radicale che ognuno si porta addosso come immagine e somiglianza di Dio. Ognuno di noi ha i suoi Romani: una malattia, una situazione, un problema; ma ognuna di queste cose può prendersi molto ma non ciò che conta, perché ciò che conta è di Dio. E questa è davvero una buona notizia, perché nelle situazioni di ingiustizia e oppressione che ciascuno vive, dobbiamo sempre ricordarci che rimaniamo radicalmente liberi anche quando ci sembra che ci viene tolto tutto.

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