Marco 7, 24-30
24 Partito di là, andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma
non poté restare nascosto. 25 Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena
seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. 26 Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia.
Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. 27 Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si
sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». 28 Ma lei gli
replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». 29 Allora le disse:
«Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia». 30 Tornata a casa sua, trovò la bambina
coricata sul letto e il demonio se n’era andato.
Ascoltiamo la Parola
L’evangelista Marco ci presenta questo brano focalizzando l’attenzione sull’apertura alla fine del
brano. Spesso crediamo che la nostra identità vada preservata cercando di equilibrarci, di non dare
troppo di noi agli altri. Come se la vita fosse un’equazione matematica, aneliamo a raggiungere
l’equilibrio: donarsi ma conservarsi. Invece qui Gesù sembra dirci che donarsi è conservarsi.
Mettiamoci nei panni di un catecumeno che legge il vangelo di Marco nel primo secolo dopo Cristo.
In questo brano scopre l’identità di Gesù, che si mostra quale salvatore di tutti, nessuno escluso,
indipendentemente dalla provenienza, dalla cultura o dal colore della pelle. L’identità di Gesù si
rafforza non perché Gesù si è “trattenuto”, ma proprio perché si è donato. Come a dire – paradosso
stupendo del vangelo -: la vera vita è quando si perde la vita per amore. E se ci preoccupassimo un
po’ meno di noi e incominciassimo ad interessarci agli altri davvero, mettendoci seriamente nei loro
panni? Forse – ma questa è una vera scommessa – scopriremmo che capiremmo anche di meglio noi
stessi.